venerdì 25 aprile 2008

25 aprile, non è una festa degli italiani

Sono passati sessantatre anni dal 25 aprile del 1945. Ogni anno si rinnova un ricordo stanco di quella ricorrenza che trascina con sé solo odio, barricate e la pervicace volontà di dividere i morti in due categorie: quelli di serie A e quelli di serie B. Il 25 aprile è una festa che divide gli italiani: due parti, due storie, due memorie. Se, da una parte alcuni, hanno avvertito la necessità di lasciarsi alle spalle quella storia di sangue per costruire una memoria condivisa, dall’altra, c’è ancora chi, dopo più di mezzo secolo, considera più importante far prevalere le ragioni dell’odio a quelle dell’unità, osteggiando qualsiasi tentativo di riconciliazione, anche se questo proveniva dagli eredi politici della Resistenza. Ogni 25 aprile è la riedizione della guerra civile, conclusasi nel ’45: fratelli, amici, italiani contrapposti. Le stesse parole d’ordine, le stesse contraddizioni. Non si possono condannare i soprusi e le carneficine e poi giustificare la tragedia degli italiani uccisi nelle foibe; non si può inneggiare alla libertà con in mano una bandiera con la falce e martello, simbolo di totalitarismo, repressione e crudeltà.Il giovane è stufo. Di stare a sentire soltanto la solita vulgata antifascista. Di dover credere a quello che i docenti gli insegnano e di non poter studiare quello che i libri di storia non dicono. La vera libertà da conquistare è quella di poter studiare tutta la storia, comprese le sue pagine più controverse, come anche quella del fascismo che fu, al di là dei giudizi di merito, una storia di uomini e donne, di italiani che hanno creduto e lottato per una bandiera e un ideale. Non tutti carnefici e assassini come da mezzo secolo ci ripetono. Una storia di italiani che hanno dato il cuore per l’Italia, cercando di migliorarla e valorizzarla. Nessuna nostalgia, solo il rispetto per i morti della RSI e la volontà di costruire una memoria condivisa in cui si analizzino pregi e difetti di una parte e dell’altra.

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