martedì 26 febbraio 2008

una lettera di una studentessa serba. KOSOVO IS SERBIA

Dear,

As a member of the academic community and as a student of University of Belgrade School of Law I am deeply distressed by the Kosovo events. As you know, the Parliament of the Serbian Province of Kosovo run by UN Mission has illegally and unilaterally proclaimed independence. This decision was made against the international law and the endorsed UN Security Council Resolution 1244, which calls for a negotiated settlement on future Kosovo status and substantial autonomy of the Province of Kosovo within the Republic of Serbia. If the international community gives its consent for this unlawful act, the internationally recognized borders of Serbia will be redrawn, the sovereignity of Serbia abolished and 15 per cent of its territory amputated. After a decade of ethnic Albanian repression against non-Albanian minorities, Kosovo politicians prove that Kosovo is being established as an ethnic Albanian state, which will not serve all its citizens but only one ethnic group.

I am urging you to call for the international rule of law by not recognizing the phony state of Kosovo as independent, because it is the only way to retain peace and stability in the region as well as in other disputed territories of the world.

Sincerely yours,
S.Strailovic
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PIù O MENO.. TRADOTTA LETTERALMENTE

Carissimi,

In qualità di membro della comunità accademica e come uno studente di Università di Belgrado Scuola di Legge Sono profondamente turbata da eventi del Kosovo. Come sapete, il Parlamento della provincia serba del Kosovo gestito dalla Missione delle Nazioni Unite ha proclamato unilateralmente e illegalmente indipendenza. Questa decisione è stata presa contro il diritto internazionale e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1244, che invita a una soluzione negoziata sul futuro status del Kosovo e la sostanziale autonomia della provincia del Kosovo all'interno della Repubblica di Serbia. Se la comunità internazionale dà il suo consenso per questo atto illegittimo, la confini riconosciuti a livello internazionale della Serbia sarà ridisegnato, la sovranità della Serbia e abolita il 15 per cento del suo territorio amputata. Dopo un decennio di etnia albanese repressione contro le minoranze non albanesi, in Kosovo dimostrano che i politici del Kosovo è stato stabilito come uno stato di etnia albanese, che non servono tutti i suoi cittadini, ma solo un gruppo etnico.

Mi spinge a chiedere la regola di diritto internazionale, non riconoscendo la fittizia del Kosovo come stato indipendente, perché è l'unico modo per mantenere la pace e la stabilità nella regione, così come in altri territori contesi del mondo.

Cordiali saluti,
S. Strailovic

venerdì 22 febbraio 2008

Andrea Perrone

di Andrea Perrone

Il quotidiano Rinascita ha incontrato ieri l’ambasciatrice della Repubblica di Serbia, Sanda Raskovic-Ivic, a cui ha rivolto alcune domande sulla situazione del Kosovo, dopo l’annunciata secessione. Il quotidiano “Rinascita” sostiene da anni la sovranità nazionale della Serbia e la sua integrità territoriale. Da tempo ci opponiamo dalle pagine del nostro giornale al tentativo secessionista messo in atto dai kosovaro-albanesi. Ora il dado è tratto.

Quali ritiene possano essere gli scenari che si apriranno dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo?
“Dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non si interromperà il rapporto diplomatico con l’Italia, soltanto io sarò richiamata a Belgrado perché siamo delusi e arrabbiati del sostegno alla secessione. Torno a Belgrado per consultarmi con il governo e per decidere quali saranno le prossime mosse da intraprendere dopo le decisioni del vostro esecutivo. L’Italia è considerata un Paese amico dalla Serbia. Il vostro Paese ci ha sempre sostenuto nel nostro cammino e i rapporti bilaterali rimangono sempre molto buoni. Per questo abbiamo sperato che l’Italia non portasse avanti questo atto di riconoscimento unilaterale”.

Cosa pensa della missione Ue “Eulex”, che prevede l’invio di un contingente di circa 2.000 uomini tra forze di polizia, magistrati europei, ecc., nel Kosovo?
“È una missione verso la quale non abbiamo niente in contrario ma siamo contrari al modo in cui viene ad inserirsi nella regione. La missione Eulex è giunta in Kosovo senza una decisione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e visto che la risoluzione 1244 del 1999 è nata in seno al Consiglio di Sicurezza, questa dovrebbe essere implementata per riportare lo Stato di diritto e garantire il ritorno dei rifugiati. D’altronde anche l’Unmik ha fallito non riuscendo ad ottemperare ai suoi doveri. Dopo l’espulsione di 250.000 serbi soltanto 1226 sono tornati in Kosovo, mentre 256 chiese sono state distrutte. A tutto questo bisogna aggiungere la terribile pulizia etnica compiuta a Pristina, una città che allora comprendeva 250.000 abitanti, di cui 41.000 serbi. Oggi invece i serbi rimasti sono soltanto 87 sugli attuali 600.000 abitanti. In sostanza, la presenza degli albanesi si è quasi triplicata mentre i serbi non esistono quasi più. Gli unici serbi rimasti sono molto anziani, incapaci di deambulare e di spostarsi fino in Serbia, non avendo neanche dei parenti nella madre patria. Gli albanesi a Pristina hanno occupato invece gli appartamenti e le terre dei serbi, e hanno costruito tutto senza dare un soldo ai legittimi proprietari serbi. Per quanto riguarda, Eulex ritengo che fallirà perché non ha gli strumenti per operare. Eulex sarà una missione completamente dipendente dalla volontà del governo di Pristina. Gli albanesi quando vorranno potranno dire agli europei grazie tante, andate a casa che non abbiamo più bisogno di voi. Ma c’è un’altra cosa, da sottolineare: Eulex sarà soltanto un sostegno per il governo albanese e nient’altro”.

In sostanza viene applicato il piano dell’inviato dell’Onu, Martti Ahtisaari?
“Sì è proprio questo il principio che muove la missione Eulex. Tutta la questione tirata fuori dal Consiglio di Sicurezza è molto pericolosa per quello che potrebbe causare. L’opposizione alla dichiarazione unilaterale di indipendenza non è portata avanti soltanto dalla Russia e dalla Serbia ma adesso anche dalla Cina e da altri otto Paesi. I contrari alle strategie albanesi ritengono che la soluzione migliore sia quella di continuare i negoziati. D’altronde le trattative nell’isola di Cipro che vedono contrapposte le due comunità quello greco-cipriota e quella turco-cipriota proseguono da quasi quarant’anni, come quelle per il Nagorno-Karabakh continuano da dieci anni, così come i negoziati fra israeliani e palestinesi proseguono anch’essi da alcuni decenni.

Ritiene che vi siano delle differenze nella politica estera dei governi europei che si sono succeduti in questi anni?
“Sono sicura di questo per quanto riguarda ad esempio la Francia. Visto che il presidente Jacques Chirac era molto diverso dall’attuale capo dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy. La Francia è stato infatti uno dei primi Paesi a sostenere la secessione del Kosovo.
La Merkel è più cauta anche se ha mostrato di voler seguire la politica americana. La Germania non ha riconosciuto immediatamente l’indipendenza. I più disponibili alle richieste degli albanesi sono stati invece Francia e Gran Bretagna. Gli spagnoli hanno avuto un attitudine diversa, poiché devono rispettare il diritto internazionale e se non lo facessero aprirebbero il vaso di Pandora nella loro terra, con la Catalogna e i Paesi Baschi”.

Vi sono differenze in politica estera fra il governo Berlusconi e quello guidato da Prodi?
“È molto difficile notare delle differenze. In un’intervista al quotidiano serbo Vecernje Novosti, il presidente Berlusconi aveva dichiarato che mai avrebbe riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Lo stesso aveva fatto due anni fa il ministro degli Esteri Gianfranco Fini, durante un nostro incontro con lui. In quel contesto aveva affermato di avere molti dubbi sul riconoscimento dell’indipendenza. L’altro giorno però Fini ha appoggiato il ministro D’Alema e il capogruppo di Forza Italia non voleva firmare la richiesta di un gruppo di senatori che avevano chiesto la presenza del capo della Farnesina alla Camera per discutere della questione. Prodi è sempre stato un grande amico della Serbia e ha spinto il nostro Paese verso l’Unione europea, lo stesso ha fatto D’Alema. Ma in queste ultime settimane a causa della grande pressione statunitense il governo dimissionario ha deciso di seguire la politica americana”.

Cosa pensa di fare il governo serbo anche a livello diplomatico per affrontare la situazione attuale in Kosovo?
“Innanzitutto, verranno ritirati gli ambasciatori dai vari Paesi per consultazioni, ma non solo. Siamo arrabbiati e vogliamo studiare le prossime mosse per fare fronte alla situazione. Il ritiro avverrà soltanto in quei Paesi che hanno approvato la secessione, con gli altri non avverrà la stessa cosa. C’è una cosa che pavento però: il popolo serbo è molto ferito e per questo temo il boicottaggio dei beni albanesi in Serbia, come il denaro nelle banche, ecc. Spero tuttavia che questo non avvenga”.

Alcuni hanno parlato persino di un piano della Serbia per tagliare l’elettricità al Kosovo qualora realizzasse la secessione.
“Il Kosovo è una piccola regione che dipende dalla Serbia per quanto riguarda cibo, acqua ed elettricità. L’attuale Stato fantoccio è legato però agli Stati Uniti che hanno scritto tutte le sue leggi. Gli Usa hanno redatto la dichiarazione di indipendenza e adesso scriveranno anche la Costituzione. Washington fa di tutto per raggiungere i suoi obiettivi. E questa è una cosa molto triste perché quelli che erano i criminali di guerra, i ricercati, i terroristi, i contrabbandieri di sigarette sono diventati i più importanti uomini politici del Kosovo. Mentre per il nostro governo democratico questo non è avvenuto. Stati Uniti e Unione europea preferiscono la mafia albanese e questo è molto preoccupante”.

Il ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremic, ha dichiarato che Belgrado farà di tutto per impedire che il Kosovo secessionista possa avere la sua rappresentanza all’Osce o in seno all’Onu.
“Certamente, è questo ciò che ha dichiarato Jeremic. Non vedo come il Kosovo possa sedere alle Nazioni Unite visto che Cina e Russia hanno detto che bloccheranno qualsiasi progetto di adesione. Non capisco il sostegno degli Stati Uniti e dell’Ue. In particolar modo, quello dell’Unione europea che equivale al sostegno ad un progetto condannato al fallimento. Il Kosovo sarà uno Stato fantoccio per sempre, poiché Cina e Russia non lasceranno che entri a far parte delle Nazioni Unite. E per l’Osce il problema è simile”.

C’è ancora uno spiraglio per giungere ad una soluzione, anche sul piano diplomatico?
“Lavoreremo molto sul piano diplomatico. Il pericolo vero è che è stato aperto il vaso di Pandora ed in particolare è nato il sogno della “Grande Albania”. Un sogno questo che ha più di 130 anni. È stato il presidente Usa George W. Bush in visita a Tirana nei mesi scorsi a puntare a questo progetto dicendo che adesso che gli albanesi hanno guadagnato l’indipendenza del Kosovo possono credere nella nascita della Grande Albania. Penso che se un giorno il Kosovo dovesse unirsi all’Albania questo potrebbe provocare un’enorme pressione su Macedonia occidentale e Grecia. Abbiamo visto infatti gli striscioni degli albanesi della Grecia, giunti a Pristina, che dichiaravano che non può esistere l’Albania senza Ciamuria (regione del nord della Grecia)”.

Quale sarà il futuro dei serbi rimasti in Kosovo?
“La questione del Kosovo settentrionale è ancora aperta. Il diritto all’autodeterminazione è stato garantito dall’Onu soltanto al popolo albanese ma non a quello serbo. A nord del fiume Ibar - in un’area geografica equivalente al 10% del Kosovo-Metohija - vivono 55.000 serbi e 3.000 albanesi. Per questo, i kosovaro-serbi non vogliono sottostare al dominio di Pristina così come i kosovaro-albanesi non accettano quello di Belgrado. Vi sarà poi un’enorme pressione sulle piccole enclave e questo è già iniziato. Per esempio, in villaggio è stata picchiata brutalmente una donna anziana e intimidita, distruggendo tutte le suppellettili della sua casa. In un’altra piccola enclave un anziano è stato malmenato e per questo la gente è spaventata. I serbi temono la violenza e pensano di fuggire via. D’altronde questo è il modus operandi degli albanesi. Venti anni prima che Milosevic diventasse presidente, quando era ancora uno studente, queste cose già avvenivano”.

Solidarietà al popolo serbo

Azione giovani Cagliari, movimento giovanile di Alleanza Nazionale, esprime la propria solidarietà al popolo serbo che sta manifestando in questi giorni a favore dell’unità del proprio territorio nazionale.
La loro protesta è giusta e lodevole in quanto stanno difendendo non solo l’integrità del loro Stato ma anche la storia, l’autonomia della Nazione da un intromissione inaccettabile degli Usa e dalla prepotenza dei Kosovari, di etnia albanese, che sfruttano la debolezza di un Europa che ancora una volta dimostra d’essere solo un entità economico-finanziaria.
La decisione del governo italiano di riconoscere l’indipendenza del Kosovo è grossolanamente sbagliata e non si capiscono le motivazioni sul perchè le rivendicazioni di Paesi come la Palestina, il Tibet, l’Ulster, i Paesi Baschi sono sempre state ignorate o contrastate duramente.
Quei popoli, teoricamente non hanno, noi crediamo ancora di più, ragione di richiedere il principio di autodeterminazione come i Kosovari albanesi?
La verità è che il Governo italiano, come del resto l’Europa, si è piegata al volere americano e non ha di certo fatto gli interessi dell’Europa e dei suoi cittadini.
Perché non sono state condannate e perseguite le violenze, le devastazioni dell’UCK contro la popolazione serba, contro i luoghi di culto dei serbi, contro ogni simbolo che rappresentasse la Serbia in quella che è oggi, e lo era anche ieri, una Regione Serba.
Esprimiamo quindi solidarietà al popolo serbo e faremo in modo che questo nostro messaggio arrivi a quella gente che giustamente difende la propria bandiera, la propria nazione, la propria dignità da questa ennesima umiliazione.

giovedì 14 febbraio 2008

Difendi la vita. Sempre.


Quando si parla di diritto alla vita è quasi inevitabile pensare all’aborto e alla legge 194, che in Italia da 30 anni ha ‘regolarizzato’ circa 4 milioni di gravidanze interrotte.Così, grazie anche all’occasione offerta dalla 30ma Giornata nazionale per la vita Azione Giovani ha avviato una campagna di sensibilizzazione nazionale attraverso la pubblicazione di due manifesti, che ribadiscono l’importanza della vita e la necessità di difenderla e tutelarla sempre, dal concepimento alla morte naturale.‘Giulia’ e ‘Luca’, i due volti dell’aborto, entrambi vittime di una pratica dolorosa ed estrema, a cui è stato negato il diritto di scegliere: questi i manifesti che capeggeranno in ogni città italiana, frantumando quel muro di ipocrisia eretto da chi predica la cultura della morte e che può contare sul tacito consenso di uno Stato incapace di tutelare i suoi figli e di offrire soluzioni alternative al dolore.La difesa della vita e il riconoscimento della sua sacralità rappresentano per Ag dei valori imprescindibili, perché contraddistinguono la nostra visione del mondo e caratterizzano la nostra azione politica. Per questo è così importante che Azione Giovani faccia sentire la sua voce. Lo dobbiamo alla nostra storia e alla nostra tradizione culturale.

venerdì 8 febbraio 2008

Notizie dal Quarto Reich

di Maurizio Blondet http://www.effedieffe.com/
Un nuovo programma scolastico parte in Inghilterra: almeno due studenti di ogni scuola, ogni anno, dovranno essere spediti a visitare Auschwitz.
Ciò per assicurarsi che «le lezioni del genocidio nazista vivano nella nuova generazione».
Gli studenti selezionati per la visita dovranno incontrare «almeno un sopravvissuto» che racconterà loro le storie di vita e di morte nel campo.
La visita si concluderà con «un solenne memorial service».
Al ritorno, gli studenti dovranno partecipare a un seminario per «riflettere sull’esperienza».
Liberamente, spontaneamente.

Ogni scuola - liberamente, spontaneamente - dovrà pagare un terzo del costo del viaggio, mentre
lo Stato coprirà il resto.
A questo scopo sono stati stanziati 1,5 milioni di sterline l’anno fino al 2011.

Lo scopo di queste visite, ha detto Karen Pollock, direttrice esecutiva dell’Holocaust Education Trust, è di «trasformare gli educati in educatori».
Il fatto è, ha spiegato, che «siamo ben consapevoli che presto non ci saranno più sopravvissuti per andare ad educare all’olocausto nelle scuole; così questi giovani, attraverso queste visite, diventano testimoni».
Infatti, ha detto la Pollock, «alcuni studenti che hanno fatto la visita sono stati ispirati a distribuire volantini contro il British National Party» (neofascista).
Liberamente, spontaneamente.

La signora Pollock deve aver tratto insegnamento dal «ragazzo Morozov», il giovane pioniere dal fazzoletto rosso che nell’URSS anni ‘30, durante la grande carestia, fu «ispirato» dall’educazione ricevuta nelle scuole sovietiche a denunciare il proprio padre per sottrazione di grano all’ammasso.
Il padre fu fucilato, il piccolo pioniere Morozov (si dice) ucciso dai parenti.
Lo Stato sovietico elevò un monumento al piccolo delatore, martire della missione che "trasforma gli educati in educatori».

Frattanto in Israele le autorità hanno ordinato la demolizione della moschea di Al-Omari nel villaggio di Umm Tuba, presso Gerusalemme, con la motivazione che l’edificio era stato costruito senza autorizzazione.
Il gran muftì di Gerusalemme, sceicco Muhammed Hussein, ha spiegato che la moschea Al-Omar è stata costruita 700 anni fa, quando non esisteva ancora il Quarto Reich.
Secondo lui, gli israeliani stanno cancellando ogni memoria storica dell’Islam in Palestina,
in violazione «di tutti i valori religiosi e dei trattati internazionali».

Per scongiurare la demolizione, ha fatto appello all’UNESCO.
Non si sa con quale effetto.
Perché, si sa, c’è memoria e «Memoria».
In Sion, un consesso di giudici capeggiato dal presidente Dorit Beinisch (una donna) ha stabilito che Israele ha il diritto legale di lesinare l’elettricità e i carburanti a Gaza «perché anche quelle piccole quantità sono sufficientemente adeguate ai bisogni umanitari».
Umanitari.

A New York sta per riunirsi l’annuale Rabbinical Assembly, e gli organizzatori ammettono di aver problemi a trovare conferenzieri progressisti, dato che la maggioranza schiacciante è di conservatori.
In teoria, per fare numero, avrebbero dovuto far parlare Stephen Brewer, giudice della Corte Suprema e di idee liberal, e Howard Dean, presidente del National Committee democratico.
Ma su questi due nomi c’è un divieto rabbinico: «E’ nostra politica non invitare conferenzieri che non sono sposati con ebrei», ha spiegato rabbi Joel Meyer, il vicepresidente.
E quelli sono «intermarried».
Meyer ha spiegato: «La Rabbinical Assembly è fortemente per l’endogamia».
Naturalmente, si tratta di preservare la purezza del sangue.

Dal 2006 i rabbini americani hanno compiuto un passo audace, ammettendo al rabbinato gli omosessuali e benedicendo le nozze fra persone dello stesso sesso.
Ma sul matrimonio etero, non transigono: i due devono essere entrambi ebrei.
«E’ un tema difficile, che trattiamo molto seriamente», ha spiegato rabbi Meyer ai giornalisti: «Noi siamo capaci di mantenere la tradizione in tensione con la modernità».

Nella galleria del delirio non può mancare Fiamma Nirenstein.
Su Il Giornale, ha scritto che il boicottaggio ad Israele alla Fiera del Libro di Torino «è una nuova Shoah».
E’ incerto se questo possa configurare una forma di vilipendio della memoria: perché se un boicottaggio è la nuova Shoah, ci si può chiedere se la «vecchia Shoah» non sia stata, in fondo, che una forma di boicottaggio.
Il che è negazionismo antisemita da cui prendiamo le distanze.
Decidano i rabbini.
In ogni caso, la Nirenstein è endogama, quindi può parlare.

Ariel Sharon, che aveva almeno il dono della franchezza, lo disse chiaro nel 1982: «Siamo giudeo-nazisti, e allora? Se i vostri dolci civilizzati padri, anziché scrivere libri sul loro amore per l’umanità, fossero venuti in Israele e avessero ammazzato sei milioni di arabi, cosa sarebbe accaduto? D’accordo, due o tre pagine cattive sui libri di storia, e ci avrebbero detto di tutto.
Ma oggi saremmo qui, una nazione di 25 milioni. Ciò che non volete capire è che il lavoro sporco del Sionismo non è ancora finito, lungi da quello».

mercoledì 6 febbraio 2008

La Slovenia riceve le consegne da Washington

di Maurizio Blondet www.effedieffe.com
La Slovenia (2 milioni di abitanti) ha assunto la presidenza dell’Unione Europea, e la terrà fino al 30 giugno.
Dirigerà la politica comunitaria per tutti noi.
O meglio: la dirigerà in nome e per conto degli Stati Uniti.

Lo ha rivelato in tutti i dettagli il quotidiano Dnevnik, che ha pubblicato un «documento interno» USA fatto avere ai responsabili sloveni con le direttive di Washington.

Daniel Fried, segretario di Stato aggiunto agli affari europei, ha consegnato le suddette consegne a Mitja Drobnic, direttore politico del ministero degli Esteri sloveno, mentre questi era a Washington il 24 dicembre scorso.

In esso, si suggerisce (o ordina) che Lubiana «sia fra i primi in seno alla UE a riconoscere l’indipendenza del Kossovo», per superare i dubbi di alcuni Paesi europei.
Ne bastano 15 su 27, dicono gli americani.

Fra le mosse, l’americano avrebbe suggerito il dispiegamento di poliziotti e giuristi dell’Unione Europea in Kossovo «nonostante le resistenze di Mosca e di Belgrado» onde accelerare l’indipendenza.

Si suggerisce anche che la UE, durante la presidenza del servitorello, condanni pubblicamente Iran, Siria, Cuba e Venezuela.
Ecco cosa succede ad ammettere nell’Unione ex Paesi satelliti: satelliti restano, cambiando padrone.

In seguito alle rivelazioni del giornale, il direttore Drobnic ha dovuto dimettersi, ma non si è dimesso il ministro degli Esteri del paesetto, Dimitrij Rupel.
Il quale ha invece deplorato la stampa per la fuga di notizie: «In seguito a questo avremo delle difficoltà coi nostri interlocuori, segnatamente americani» (sic).

Il capo di Stato, Danilo Turk, ha invitato il governo ad essere «più prudente», specie sulla questione del Kossovo.
Il primo ministro Jansaz ha invitato a non esagerare, la Slovenia non ha intenzione di eseguire tutte le direttive USA «per farne la politica della UE».
Ma sì, che cosa sarà, non facciamone uno scandalo.

E infatti la libera stampa europea non ha dedicato alla vergognosa scoperta nemmeno una riga; silenzio totale anche a Bruxelles, naturalmente.
Se veniamo a sapere di questa faccenda è perché ne parlano in rete anche vari siti italiani, e il sito belga Dedefensa, che ha buone fonti informative nell’alta eurocrazia.

Una di queste fonti (1) ha ammesso che lo scandalo sepolto crea tutta una tempesta di sussurri nei corridoi, alla Commissione, al Parlamento.

«L’affare sloveno è nella mente di tutti e in tutte le conversazioni, anche se l’agitazione rimane discreta», dice la fonte, segnalando però gli strani motivi del disagio eurocratico.
«Non è che venga accusata la Slovenia, che non è quasi mai nominata. Il fatto è che tutti si sentono colpevoli, presi con le mani nel sacco, come se quello che è accaduto alla Slovenia possa accadere a un qualunque altro Stato membro o a qualunque amministrazione comunitaria. Questo comportamento americano per pressioni, intromissioni, eccetera, è così ‘normale’, abituale… E l’Europa è così abituata a non reagire, a lasciar fare, ad ottemperare».

Il punto è che «è la prima volta» che accade «la fuga di un documento irrefutabile, da un canale diplomatico, che dimostra senza ombra di dubbio una ingerenza diretta e formale degli americani negli affari europei».

Nel palazzo della trasparenza europea, si teme che «si sia aperto il vaso di Pandora».
Che ad «altri diplomatici, di altri Paesi membri», la fuga slovena «dia delle idee», e che si mettano a rivelare i fogli d’ordine di Washington agli eurocrati-satelliti, perché allora «sarebbe macchiata l’immagine dell'Europa».

Perché, insomma, obbediscono («ottemperano») tutti.
Mica solo i Paesi di due milioni di abitanti abituati a leccare gli stivali, ma quelli delle grandi capitali storiche, antifascisti, liberisti e liberali, con la loro libera stampa.
Perciò, silenzio (il nemico ti ascolta), vigilanza sulle fughe, zitti con i media.

Benvenuti nell’Europa di Solana, Barroso, Padoa Schioppa, Monti e Frattini.
Benvenuti nell’Europa finalmente libera.
Da ogni sovranità.
E da ogni dignità.